L’ordinamento giuridico italiano contiene un’importantissima normativa che trova la sua fonte nel Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 e che è definita come la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”.
Questa previsione di responsabilità, in realtà, è solo formalmente “amministrativa” in quanto essa è accertata dal “Giudice penale” il quale è abilitato ad applicare vere e proprie “pene” all’esito di un procedimento penale.
Le sanzioni previste, anche se differenti rispetto alle classiche erogabili alle persone fisiche, sono comunque particolarmente afflittive per l’ente e, qualora dovessero essere irrogate, possono comportare conseguenze particolarmente invasive e invalidanti per la stessa organizzazione.
CHI INTERESSA?
Tutte le strutture organizzative sono potenzialmente destinatarie di questa disciplina ad esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici nonché degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Particolare attenzione devono prestare le imprese, in qualsiasi forma giuridica esse esercitano la loro attività.
QUALI SONO I RISCHI?
Di seguito la descrizione di tutte le sanzioni individuate dal Decreto 231:
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la sanzione pecuniaria
Questa sanzione che è inflitta in ogni caso, anche in combinazione con le altre, è in realtà definita su un meccanismo per quote.
Il Decreto, cioè, per ogni diverso tipo di “illecito 231” prevede l’irrogazione di una sanzione pari ad un certo numero quote, comprese tra un minimo di duecento e un massimo di mille, che il Giudice deve determinare sulla base della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
L’importo di ogni quota può oscillare tra un minimo di 258,23 euro e un massimo di 1.549,23 euro.
Anche la quantificazione del valore di ogni singola quota è affidata alla discrezione dell’Autorità Giudiziaria. In questo caso, il valore di essa deve essere parametrato dal giudicante sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente “allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione”.
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le sanzioni interdittive
Queste, che possono essere applicate in caso di profitto di rilevante entità o di reiterazione degli illeciti, possono concretamente consistere:
a) nell’interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) nella sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) nell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) nel divieto di pubblicizzare beni o servizi
In alcune ipotesi, questo tipo di sanzione, può comportare addirittura la nomina di un Commissario giudiziale qualora l’interruzione dell’attività dovesse avere ricadute di particolare rilevanza per la collettività e venisse leso un interesse pubblico fondamentale.
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la confisca
è la sanzione che comporta l’apprensione risolutiva da parte dello Stato del “prezzo” o del “profitto” del reato a seguito di sentenza di condanna definitiva di condanna dell’ente.
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la pubblicazione della sentenza
questo tipo di sanzione rappresenta un deterrente per l’impresa consistendone la sua minaccia un pregiudizio all’immagine dell’ente.
Lo Stato, nella sostanza, in ipotesi di commissione di illecito, può perseguire un Ente (Società, Fondazioni, Associazioni, associazioni, etc.) dotato anche solamente di una minima articolazione organizzativa.
Essendo un procedimento penale, si rammenta, vale il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Costituzione che elimina ogni discrezionalità in capo all’Autorità Giudiziaria circa l’opportunità di procedere o meno.
PER QUALI ILLECITI?
Le indagini preliminari, volte all’accertamento della responsabilità dell’ente, si attivano ogni qualvolta si registra la presunta commissione di uno dei reati, anche colposi, inseriti e suddivisi in ben 19 gruppi descritti e richiamati ad opera delle disposizioni contenute negli articoli che vanno dal 24 al 26 del D. Lgs. 231/2001.
Si tratta di un vero e proprio “catalogo” di illeciti in quanto, dal 2001 ad oggi, le fattispecie incriminatrici idonee ad attivare la responsabilità dell’Ente sono aumentate progressivamente, arrivando a contare ormai oltre un centinaio di reati.
CHI DEVE COMMETTERE GLI ILLECITI PER LA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE?
Il Decreto è chiaro, ai sensi dell’art. 5, comma 1 “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).”
COME EVITARE IL RISCHIO DELLA SANZIONE PENALE?
Venendo agli aspetti premiali della normativa, il Legislatore con lo scopo di spingere le imprese ad attuare un’organizzazione in grado di prevenire tali illeciti ha previsto un sistema di “compliance” basato su tre aspetti fondamentali.
- Il primo, assolutamente necessario, è l’adozione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire gli illeciti del catalogo.
- Il secondo, consiste nell’efficace attuazione del Modello che si attua attraverso il coinvolgimento e la formazione di tutti i soggetti che interagiscono nell’organizzazione con essa.
- Il terzo, riguarda la predisposizione di un meccanismo di controllo interno circa la verifica dell’adozione e l’efficace attuazione imperniato sulla costituzione di un Organismo di Vigilanza (ODV).
L’implementazione di tale sistema può consentire in caso di illecito, di vedere estromettere l’ente dal processo penale o, quantomeno, di trovare un indubbio vantaggio nella sensibile riduzione delle sanzioni
E’ DAVVERO OPPORTUNO ADOTTARE UN MODELLO ORGANIZZATIVO?
Il primo passo per attuare questo sistema non può che essere l’adozione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo (MOG). Questa fase consente alle aziende di acquisire maggiore consapevolezza della propria realtà, di individuare i punti deboli e rafforzarne le potenzialità.
Oggi non è – ancora – obbligatorio. Le imprese che lo hanno adottato, in prevalenza nelle regioni del centro e nord Italia, hanno indubbiamente avuto un ritorno dell’investimento in termini di immagine e di opportunità contrattuali.
Sempre più Enti Pubblici (prevalentemente le Regioni centro nord) hanno previsto che l’adozione del modello da parte delle imprese fosse condizione indispensabile per trattare con la Pubblica Amministrazione.
OBBLIGATORIETA’ DEL MODELLO, SARA’ LEGGE?
Il Decreto 231 è una normativa che interessa in maniera attiva e costante il Legislatore.
La scorsa legislatura (la XVII) è stata promotrice di un importante studio parlamentare per un progetto di riforma complessiva, cui gli atti saranno alla base di prossimi, determinati, interventi legislativi (i lavori sono scaricabili al seguente link: http://www.camerepenali.it/cat/9250/i_lavori_della_commissione_dlgs_2312001.html)
L’attuale legislatura, infatti, registra già il deposito di un disegno di legge volto a renderlo obbligatorio.
Si tratta del Disegno di Legge n. 726 presentato in Senato il 30 luglio 2018 (http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/339575.pdf) che è volto a rendere espressamente obbligatorio l’adozione di un Modello organizzativo, e la predisposizione di un ODV, per tutte le Società a responsabilità limitata, le Società in Accomandita per Azioni, le Società per Azioni e le Società Cooperative.
(articolo a cura di avv. Gianvito Rizzini – avvocato penalista esperto in disciplina 231)