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Sovraindebitamento: accordo e piano a confronto

L’accordo con i creditori ed il Piano del consumatore rappresentano soluzioni alternative alla liquidazione del patrimonio

 

La disciplina della composizione della crisi dei soggetti non fallibili prevedete tre soluzioni possibili, sostanzialmente differenti tra loro, per contenuti, circostanze, applicative, destinatari e meccanismi processuali.

 

Il presupposto di base è la difficoltà strutturale e non momentaneamente del soggetto individuale o collettivo (società), nel rimborso dei debiti contratti secondo i termini convenzionalmente stabiliti, ovvero, secondo la definizione dell’art. 6, comma 2, della Legge nr. 3/2012, del “ perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte ed il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, da cui consegua la rilevante difficoltà o la definitiva incapacità di adempiere regolarmente”.

 

Prima dell’introduzione di questi strumenti, non c’era traccia nel nostro ordinamento giuridico di soluzioni destinate al debitore non assoggettabile a procedure concorsuali o alle soluzioni negoziali di gestione della crisi o dell’insolvenza disciplinati dalla legge fallimentare (RD 267/1942).

 

L’unica soluzione alla crisi non poteva che essere l’azione esecutiva individuale dei creditori, e al relativo concorso alla liquidazione forzosa del patrimonio del debitore.

 

I risultati, per debitore e creditore troppo spesso si sono dimostrati insoddisfacenti, premiando invece l’intervento del terzo acquirente dei beni, aggiudicati a prezzi molto convenienti specie nel contestato immobiliare.

 

La chiusura della procedura esecutiva lascia spesso i creditori largamente insoddisfatti, il debitore ancora tale e non esdebitato nonostante lo spossessamento ed il terzo acquirente spesso arricchito.

 

Tre sono le soluzioni che la legge nr. 3/2012 offre:

  1. l’accordo di composizione della crisci
  2. il piano del consumatore-garante
  3. la liquidazione del patrimonio

 

 

Sono misure, le prime due, per molti aspetti assimilabili, la terza invece completamente paragonabili al fallimento dei soggetti “ non fallibili”.

 

Unico aspetto comune tra tutte e tre è l’attivazione, rimessa sempre ed unicamente all’iniziativa del debitore, fatti salvi i casi in cui si prevedeva l’intervento del creditore, ma che è difficile qualificare diversamente da residuali, e cioè la revoca e cessazione o in via più generale la conversione delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla Sezione I in liquidazione.

 

 

L’accordo di composizione

L’art. 7 prevedere che il debitore in stato di sovraindebitamento possa proporre ai creditori un accordo fondato su un piano e che contenga una proposta di ristrutturazione del debito e connessa soddisfazione dei creditori.

 

La proposta deve rispettare i seguenti limiti:

  • escludere ogni tipo di falcidia o moratoria, e quindi in sostanza alcuna modifica dei termini ordinari di adempimento per i crediti cosiddetti impignorabili, di cui all’art. 545 del codice di procedura civile, ai quali deve quindi essere assicurato il regolare e tempestivo pagamento;

 

  • non riguardare i crediti alimentari, ai quali viene assegnata una speciale protezione in ragione della particolare condizione del creditore;

 

  • escludere la falcidia di crediti costituenti risorse proprie della UE e dello Stato per IVA e ritenute alla fonte, di cui è possibile ipotizzare unicamente la dilazione, secondo un meccanismo che ricorda vicino la disciplina della transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare, con la differenza, non irrilevante, che nella composizione della crisi da sovraindebitamento costituisce regola fissa ed inderogabile, mentre nel concordato preventivo (art. 160 e seguenti della legge fallimentare) e nell’accordo di ristrutturazione del debito (art. 182-bis della legge fallimentare) il divieto normativo è mitigato dalla possible transazione fiscale;

 

  • è pur vero che la giurisprudenza di legittimità ha da sempre assegnato al credito per IVA, e poi anche ritenute, una sorta di superprivilegio indipendente dall’utilizzo della transazione fiscale, ma la recente sentenza C546-14 della Corte di giustizia europea ha aperto più di una breccia a favore della falcidiabilità;

 

  • rispettare la gerarchia dei privilegi, per cui non è possibile ipotizzare il pagamento di creditori chirografici se contestualmente non è proposta la soddisfazione integrale di chi beneficia di cause di prelazione, con due eccezioni:
  1. la capienza cauzionale del bene su cui la causa di prelazione insiste, secondo un criterio assimilabile dell’art. 160, comma 2, della legge fallimentare, sicchè la quota di credito privilegiato che non trovasse copertura nel calore di realizzo del bene inciso subirebbe la degradazione a chirografo.

 

 

Delineate le limitazioni, l’accordo deve basarsi su un piano che chiarisca ai creditori quali azioni il debitore intende intraprendere, ed in che tempi, per rendere disponibile la provvista necessaria ad adempiere alla proposta si accordo loro formulata.

 

Dal piano discende la proposta di accordo, i cui termini convenzionali devono includere, appunto, modalità e tempi.

 

Il piano potrà assumere una struttura sinteticamente articolata come segue:

    • descrizione della dinamica della situazione del debitore, inclusiva del dettaglio delle eventuali procedure esecutive in atto, e dello spirito della proposta, talvolta fortemente legata ad altre del medesimo nucleo familiare o societario;

 

    • esame dell’indebitamento degli elementi patrimoniali attivi e dei flussi finanziari, che risulti a valle delle verifiche compiute con l’assistenza dei consulenti del debitore e/o del gestore designato dall’Organismo di composizione della crisi, o nominata dal tribunale ai sensi dell’art. 15, comma 9, della legge nr. 3/2012;

 

    • sintesi delle azioni programmate, e quindi delle cessioni o dell’impegno alla prosecuzione dell’attività, ed evidenza della provvista che complessivamente si renderà disponibile nell’arco di tempo in cui il piano si dipana;

 

    • si tenga presente che la norma non stabilisce un limite massimo alla articolazione temporale, e che tuttavia è opportuno, affinché il giudizio di fattibilità richiesto al gestore della crisi possa concretamente formarsi, limitare i piani liquidatori a qualche anno, e quelli in continuità a 5/7 anni, anche in considerazione del contesto in cui il debitore opera;

 

 

  1. si tenga conto inoltre che l’art. 4 co. 3 della Legge nr. 3/2012 prevede una moratoria fino ad un anno dall’omologa dei crediti privilegiati, in caso di piano in continuità.

 

 

E’ estremamente opportuno che sia chiarita nella proposta la prospettiva della miglior soddisfazione per i creditori rispetto all’eventuale ipotesi liquidatoria in tutti i casi in cui l’impostazione sia in continuità.

 

 

Due questioni richiedono un approfondimento, posto che riferiscono a circostanze che spesso nella pratica si realizzano:

  1. la gestione di sovraindebitamento riferito a più debitori;
  2. il trattamento da riservare a quei creditori sociali che si siano procurati un titolo di prelazione sul bene di un socio, in forza del regime di responsabilità solidale cui sia sottoposto.

 

 

Il sovraindebitamento di soggetti collegati

Non di rado accade che l’indebitamento, cui l’accordo si propone di offrire composizione, sia riferito non solo al debitore società ma anche ai soggetti “collegati”.

 

Il caso può essere quello della società semplice agricola e dei suoi soci, della associazione professionale e dei relativi professionisti, o della piccola società di persone costituita per l’esercizio di attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 cod. civ.

Il debitore soggetto giuridico collettivo che nell’esercizio della propria attività abbia contratto obblighi che lo espongono ad una rilevante e non reversibile situazione di sovraindebitamento potrebbe indurre anche i soci a ricorrere ad una delle procedure di composizione della crisi di cui alla Legge nr. 3/2012.

 

Le esposizioni debitorie finiscono per coinvolgere il debitore ed i soci, ed in certi casi anche coloro i quali abbiano prestato garanzia, personale o reale.

 

La domanda è se in quest’ambito si possa immaginare la fattibilità di un “ricorso di gruppo” attraverso cui gestire, unitamente e collettivamente tutte le esposizioni debitorie del “nucleo” indebitato.

 

Difficile ipotizzare, in mancanza di esplicita previsione normativa, una soluzioni operative diverse dalla predisposizione di più piani seppur fra loro coordinati ma inevitabilmente indipendenti, al fine di salvaguardare:

  • la distinzione fra le masse attive e passive riconducibili a ciascun soggetto;
  • il riconoscimento e mantenimento dei singoli diritti di prelazione vantati dai creditori nei confronti delle diverse masse che, diversamente, non potrebbero essere ugualmente garantiti;
  • l’autonoma espressione di voto all’interno di ogni singola proposta;
  • la pronuncia di differenti provvedimenti di omologazione, con conseguente effetto esdebitatorio circoscritto e limitato al singolo ricorrente cui la proposta viene votata e adempiuta nei termini premessi.

 

 

Creditori con titolo di prelazione su beni del socio associato

Ulteriore riflessione merita la posizione di quei creditori del debitore che, in ragione di titoli ottenuti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, hanno potuto acquistare un titolo di prelazione, tipicamente l’ipoteca giudiziale, sui beni di questi ultimi.

 

Il punto è se tali soggetti siano, sulla base del titolo ottenuto, creditori del socio o meno.

Sul punto è di recente intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite (Cassazione civile 16 febbraio 2015 n. 3022) che, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo riguardante una società di persone, ha offerto un’interpretazione estensiva dell’art. 177, comma 2, della legge fallimentare, in base alla quale andrà riconosciuta natura prilivegiata al credito della società garantito da ipoteca su beni mobili di terzi e segnatamente, dei soci illimitatamente responsabili.

 

Non muta quindi la soggettività del debito, che rimane unicamente riferibile al debitore originario, mentre si modifica la collocazione nella gerarchia delle prelazioni, in forza del titolo giudizialmente acquistato.

 

Muovendo dal presupposto che il principio della giurisprudenza di legittimità possa senza dubbio trovare applicazione anche nella gestione degli strumenti di composizione del sovraindebitamente, tenuto conto dei profili di analogia e la comune ratio dei due ambiti, nell’accordo cosi come nel piano del consumatore i crediti assistiti da ipoteca iscritta sui beni dei soci illimitatamente responsabili debbano semplicemente essere considerati di natura privilegiata.

 

Nel piano quindi i crediti garantiti da ipoteca iscritti sugli immobili dei soci vengono riconosciuti come crediti privilegiati e soddisfatti integralmente o comunque nei limiti della capienza del valore di mercato del bene gravato, con la conseguenza che in analogia con quanto previsto dall’art. 184 della legge fallimentare, tale modalità di soddisfacimento produrrà un oggetto remissorio ed esdebitatorio nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, relativamente ai debiti sociali.

 

Costruzione del piano e formulazione della proposta di accordo

Una prima riflessione, di interesse soprattutto per il gestore della crisi, riguarda le metodologie di approccio alla verifica della veridicità dei dati.

E’ noto, ed è argomento di altro contributo, il ruolo dell’organismo di composizione della crisi, e per lui del gestore delegato, istituzionalmente ambiguo.

Collabora, assumendo ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano, con il debitore, e nel contempo assume le funzioni di ausiliario del giudice e di garante teoricamente terzo della corretta dotazione informativa a favore dei creditori.

In relazione alla fase di sviluppo della procedura, è quindi più assimilabile all’advisor, all’attestatore ed al commissario giudiziale.

Tenuto quindi a un difficile gioco di equilibri, dovendo tutelare interessi diversi e necessariamente contrapposti, interviene inoltre in un ambito in cui troppo spesso l’ausilio della rappresentazione contabile del patrimonio è perlomeno limitato.

 

Società agricole, cosi come altre forme di esercizio collettivo o individuale di attività, sono estranee rispetto alle previsioni dell’art. 2214 cod. civ., che solo all’imprenditore di cui all’art. 2195 cod. civ. impone la rappresentazione contabile delle operazioni e la tenuta del libro giornale.

 

Una società semplice agricola ad esempio non ha alcun supporto contabile se non finalizzato agli adempimenti del regime IVA cui è assoggettata, e quindi la verifica dell’indebitamento è perlomeno disagevole, ed impone una attenta ricostruzione.

 

Difficile pensare che siano applicabili i principi di attestazione, che ad altre e più strutturate circostanze sono dedicati, e tuttavia il giudizio di veridicità dei dati è richiesto.

 

Si tengo inoltre che la Legge nr. 3/2012 non prevede alcuna misura di protezione del patrimonio, preventiva rispetto al decreto di ammissione, perciò sino ad allora le ipoteche giudiziali eventualmente iscritte da un creditore titolato non potrebbero che essere valutate opponibili, con le conseguenze sul piano e sul trattamento dei creditori che è facile dedurre.

 

L’analisi del gestore è quindi prevalentemente intera, complessa perché di integrale ricostruzione del patrimonio, ed impegnativa posto che i tempi disponibili sono solitamente molto ridotti.

 

Il passivo può essere suddiviso in classi al fine di meglio strutturare la proposta di soddisfazione.

 

Non vi sono conseguenze sul consenso rispetto alla proposta, che si determina sul complesso dei creditori votanti, indipendentemente dalle classi.

 

Non vi sono neppure requisiti di omogeneità economica e giuridica, che la legge non richiama, e tutta via l’obbligo generale di rispetto della gerarchia dei privilegi non consente di abusare dell’articolazione in classi, che devono contenere posizioni debitorie perlomeno sotto quel profilo omogenee.

 

 

La proposta

I risultati del piano, che prevede la prosecuzione dell’attività anziché la liquidazione dei beni – anche perché maggiormente soddisfacente per i creditori – consentono di configurare la proposta ai creditori, che prevederà contenuti convenzionali sia in termini quantificativi che di modulazione e definizione dell’impegno del debitore.

 

Avuti in considerazione i risultati del piano, la proposta può strutturarsi secondo due filoni principali:

  • impiego a corrispondere nei tempi previsti un certo importo ai creditori, cosicché l’obbligazione potrà ritenersi adempiuta al pagamento tempestivo della cifra pattuita, indipendentemente dal risultato consuntivo della gestione dell’attività, migliore o peggiore rispetto al piano;

 

  • impegno a proseguire l’attività per 5 anni, e ad assegnare il risultato conseguito al netto del mantenimento della famiglia ai creditori , secondo percentuali che costituiscono solo una stima della soddisfazione, e non un impegno, e con la conseguenza che eventuali variazioni rispetto al pianificato, beneficeranno o penalizzeranno la soddisfazione dei creditori, pur nel perfetto adempimento della proposta.

 

Di conseguenza, la seguente quantificazione, potrà assumere il rilievo dell’impegno o della stima, in relazione ai diversi contenuti convenzionale che il debitore decida di proporre ai creditori:

 

Ulteriore questione interessa il caso in cui ai creditori privilegiati venga proposta una articolazione dei pagamenti superiore all’anno, termine massimo di moratoria previsto dalla norma (art. 8, comma 4, della Legge nr. 3/2012).

Secondo un certo orientamento giurisprudenziale, il pagamento integrale dei creditori privilegiati deve essere intenso sia in senso quantitativo che in senso qualificativo, come temporalmente immediato all’esito dell’omologa o, comunque, non appena decorso il periodo di moratoria, secondo tale lettura, quindi, l’esclusione dal voto di tali creditori troverebbe giustificazione solo in quanto essi non siano in alcun modo incisi nel loro diritto, con la conseguenza che la categoria dei creditori privilegiati il cui pagamento sia previsto nell’arco dell’intero piano, dovrebbero accedere al voto, avendo comunque subito un pregiudizio nella modalità di pagamento.

 

Secondo altro orientamento, ritenuto preferibile da taluna dottrina, sarebbe invece ammessa la soddisfazione in tempi dilazionati dei crediti prilivegiati, da considerarsi “integrale”, anche ai fini dell’accesso al voto, quando il ritardo sia controbilanciato dalla corresponsione degli interessi.

 

Merita peraltro evidenziare come di recente la Suprema Corte abbia affrontato l’argomento affermando che “l’adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura equivale a soddisfazione non integrale degli stessi in ragione della perdita economica conseguente al ritardo, rispetto ai tempi normali, con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti.

La determinazione di tale perdita, rilevante ai fini del computo del voto ex art. 177, comma 3, della legge fallimentare, costituisce un accertamento in fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata ex art. 160, comma 2, della medesima legge, considerano gli eventuali interessi offerti ai creditori ed i tempi tecnici di realizzo dei beni gravati in ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che il contenuto della proposta, nonché il regime legale degli interessi di cui agli artt. 54 r 55 della legge fallimentare”.

 

 

Il piano del consumatore

La base di riferimento non è diversa, posto che il comma 1-bis dell’art. 7 assegna al consumatore il diritto, in alternativa all’accordo, di proporre ai creditori un piano che contenga le previsioni del precedente comma 1, e che sia quindi, come l’accordo:

 

a) fondato su un piano;

b) assicuri il pagamento dei crediti impignorabili;

c) prevedeva scadenze e modalità di pagamento dei creditori;

d) preveda eventualmente la suddivisione in classi;

e) indichi le eventuali garanzie di adempimento;

f) rispetti la parcondicio creditorium, fata eccezionale per i crediti costituenti risorse proprie della UE, l’IVA e le ritenute alla fonte, delle quali non è proponibile falcidia, ma solo dilazione.

 

La sostanziale differenza rispetto all’accordo, oltre ai possibili soggetti beneficiari, è costituita dalle modalità di formazione del consenso, rimesse per il consumatore solo alla valutazione del giudice.

 

E anche per questo al piano del consumatore sono ammessi solo i consumatori e nemmeno tutti, ma quelli che all’esame dell’Organismo di composizione della crisi (Occ) evidenzino una ragionevole diligenza nell’assunzione delle obbligazioni, sfociate poi in sovraindebitamento.

 

L’organismo di composizione della crisi dovrà inoltre:

  • esporre le ragioni dell’incapacità ad adempiere;
  • rendicontare le condizioni di solvibilità del debitore impugnati dai creditori;
  • giudicare della completezza della documentazione fornita dal debitore, nonché sulla convenienza del piano rispetto alla diversa opzione liquidatoria.

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Tratto da: Sovraindebitamento guida pratica per imprese, consumatori e professioniti; IlSole24Ore- 11/2016

Redazione

Dottore Commercialista e Revisore Legale Pianificazione e Controllo di Gestione Finanza Agevolata e Crisi d'Impresa Formazione