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Legge 3/2012: i soggetti ammessi alla procedura di sovraindebitamento

Sono soggetti alla procedura del sovraindebitamento (Legge 3/2012) tutti quei soggetti non fallibili, nei limiti dei parametri previsti dall’art. 1 LF

 

La Legge nr. 3/2012 individua i beneficiari della procedura di composizione della crisi da sovrainedebitamento nei cosiddetti  debitori non fallibili a norma dell’art. 1 della Legge fallimentare.

 

 

La definizione di soggetto destinatario della procedura esame non è cosi agevole

Infatti mentre l’attuale versione dell’art. 7, comma 2, lettera a) della Legge nr. 3/2012 prevede che il debitore non deve esseresoggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”, mentre l’art. 6 della medesima legge fa riferimento alle “situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate da presente capo”.

 

 

L’imprenditore non fallibile: questioni critiche e definitorie

L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina annovera tutti quei debitori che non possono accedere alle procedure concorsuali diverse da quelle regolate nella legge in parola.

 

Trattandosi perciò di una definizione residuale, essa si rinviene attraverso una lettura in negativo dell’art. 1 della legge fallimentare, norma che disciplina i requisiti di fallibilità dell’imprenditore commerciale.

 

Com’è noto, con le modifiche legislative del 2006 e del 2007 il criterio di elaborazione giurisprudenziale del “piccolo imprenditore” è stato sostituito con l’introduzione delle cosiddette soglie di esclusione dalla fallibilità.

 

Il 2 comma dell’art. 1 della Legge fallimentare sancisce infatti che è escluso dal fallimento e dal concordato preventivato l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguente parametri: il debitore deve aver avuto in ciascuno dei 3 esercizi antecedenti la data di deposito all’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore:

 

  1. attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a 300.000 euro
  2. ricavi lordi complessivi annui non superiori a 200.000 euro
  3. nonché deve avere alla data di deposito dall’istanza di fallimento o all’udienza prefallimentare, debiti di ammontare non superiori a 500.000 euro, compresi i debiti non scaduti e quelli definitivamente accertati con efficacia di giudicato.

 

E’ dibattuta se ai fini del calcolo dell’ammontare dei debiti dell’imprenditore persona fisica, debbano essere ricompresi anche quelli contratti per ragioni personali.

 

Seppur parte della dottrina ritiene preferibile una destinazione delle singole masse con la conseguenza che ai fini di cui all’art. 1 della Legge fallimentare devono essere ricompresi solo i debiti scaturenti dell’attività commerciale, la giurisprudenza più recente sostiene invece non vi sia distinzione tra i debiti di un imprenditore individuale in ragione della loro natura, civile o commerciale, poiché l’ordinamento italiano non consente “limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente, rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore a fallimento“.

 

Alla luce dell’orientamento prevalente, l’imprenditore individuale che voglia verificare la sua sussistenza del presupposti di non fallibilità al fine di sovraindebitamento, dovrà quindi tener conto anche dei debiti contratti per motivi strettamente personali.

 

 

L’imprenditore cessato e l’erede dell’imprenditore

E’ soggetto alla procedura di crisi da sovraindebitamento anche l’imprenditore cessato da oltre un anno, ciò sulla base del’art. 10, comma 1, della Legge fallimentare, secondo il quale “Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successo”.

 

Si evidenzia che oltre al limite temporale rappresentato dalla cancellazione dal registro delle imprese, il comma 2 dell’art. 10 della Legge fallimentare consente al creditore o al pubblico ministero (Pm)  di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del comma 1.

 

Parametri anche l’imprenditore defunto può essere dichiarato fallito fino ad un anno della sua morte.

 

Ci si chiede quindi in che termini l’erede possa accedere o meno alla procedura di crisi da sovranidebitamento.

 

La soluzione discende dalle modalità di accettazione dell’eredità:

  • se l’erede ha accettato con beneficio di inventario, potrà proporre ai creditori dell’eredità una procedura di sovraindebitamento solo dopo che sia trascorso un anno dalla morte del de cuius;

 

  • se diversamente l’accettazione è stata pura e semplice, a seguito della confusione dei patrimoni, l’erede potrà accedere a una procedura di cui alla Legge nr. 3/2012 solo se la sua impresa non sara fallibile.

 

 

Il socio illimitatamente responsabile

Anche il socio illimitatamente responsabile di una società cessata da oltre 1 anno, o il socio illimitatamente responsabile che sia fuoriuscito dalla compagine sociale da oltre 1 anno per morte, recesso, esclusione o cessione della quota sociale che abbia perduto da oltre 1 anno la responsabilità illimitata a causa di operazioni di trasformazioni, di fusione o di scissione è soggetto alla procedura di sovraindebitamento.

 

Si discute sulla possibilità di accedere alla procedura in parola da parte del socio illimitatamente responsabile di una società commerciale cosiddetta “sopra-soglia”.

 

Secondo parte della dottrina la fallibilità del socio in estensione ex art. 147 della Legge fallimentare non preclude l’accesso alla procedura da sovraindebitamento poiché l’art. 7, comma 2. lettera a), della Legge nr. 3/2012 riguarderebbe solo le ipotesi di fallibilità diretta o cosiddetta “primaria” e il socio illimitatamente responsabile non potrebbe essere sottoposto autonomamente a fallimento.

 

In particolare, la legittimazione attiva è stata riconosciuta con riferimento ai debiti personali, fermo restando la previsione dell’art. 12. comma 5, in ragione della quale l’accordo varrebbe, in ogni caso, travolto dal fallimento delle società.

 

Tale impostazione non sembra essere condivisibile, se solo si considera che l’attuale versione dell’art. 7, comma 2, fa riferimento alle “procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”, tra cui si ritiene di dover ricondurre anche la previsione dell’art. 147 della Legge fallimentare sul fallimento per estensione.

 

Da ciò ne consegue che solo i soggetti non fallibili possono presentare una domanda di accesso alla composizione della crisi sa sovraindebitamento, mentre chi è soggetto a dichiarazione di fallimento, anche se in estensione, non può percorrere tale strada.

 

 

L’imprenditore agricolo

Il legislatore ha espressamente sancito all’art. 7, comma 2-bis, della Legge nr. 3/2012 l’ammissibilità del piano proposto dall’imprenditore agricolo, che per definizione è soggetto non fallibile.

 

Si ritiene che l’espressa previsione normativa sia stata opportuna dopo che il D.L. nr. 98/2011 ha esteso all’impresa agricola la possibilità di accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti e della transizione fiscale.

 

La nozione di imprenditore agricolo è stata progressivamente dilatata ai sensi dell’art. 2135 del cod. civ.:

  1. è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività
  • coltivazione del fondo, selvicultura, allevamento di animali e attività connesse.

 

Per coltivazione del fondo, per selvicultura per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzando o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

 

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate del medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegata nell’attività agricolo esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

 

L’attività legata al fondo deve prevalere sull’attività commerciale, pena la perdita della qualifica di imprenditore agricolo e, conseguentemente, la fallibilità dell’impresa agricola.

 

In assenza di una previsione espressa, rimane tuttavia il dubbio circa il grado di approfondimento della valutazione sulla prevalenza in concreto dell’attività legata al fondo, consentita al giudice avanti il qual viene introdotta la procedura di sovraindebitamento.

 

 

Il consumatore

Tra i soggetti beneficiari della procedura da sovraindebitamento è presente anche il consumatore, che viene definito all’art. 6, comma 3, lettera b), della Legge nr. 3/2012 come il debitore persona fisica che ha contratto debiti esclusivamente per finalità diverse dall’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale.

 

La definizione si presenta più rigida rispetto a quella contenuta nel Codice del consumo (art.3, comma 1, lettera a), secondo la quella è consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

 

La Legge nr 3/2012 introduce infatti il carattere dell’esclusività che, come è astato un più occasioni osservato, restringe l’ambito di applicazione dell’istituto.

 

Una delle questioni più dibattute è rappresentata dal trattamento del debito promiscuo, ossia quello derivante sia da titoli strettamente personali sia da una attività professionale o di impresa.

 

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con sen. 1869/2016, la quale ha avuto modo di analizzare una fattispecie molto interessante sotto diversi profili: dalla nozione di consumatore, al trattamento del debito IVA contratto da quest’ultimo nell’esercizio dell’attività d’impresa, all’individuazione infine della natura concorsuale o meno della procedura di sovraindebitamento prevista a favore del consumatore.

 

Nel caso di specie, il ricorrente ha infatti proposto un piano del consumatore per i debiti personali (non derivanti da attività non imprenditoriale/professionale), pur in presenza di un cospicuo debito IVA contratto nell’esercizio della propria attività professionale.

 

Gli ermellini chiariscono che il consumatore ben può essere un imprenditore o un professionista: lo si evince dall’art. 6, comma 2, lettera b), ove si fa riferimento al debitore persona fisica e ove sono menzionati espressamente i debiti nascenti da attività d’impresa o da professione, purché tali attività non sussistano più al momento della presentazione del piano.

 

Per di più, l’art. 7, comma 1 sancisce che “ in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”, è clausola specificamente richiamata dall’art. 12-bis, comma 3, nel quale si prevede, tra le altre condizioni, l’omologa del piano del consumatore se il giudice vi ravvisa “l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo

“.

Tali ultimi crediti, almeno in parte, esprimono una diretta riferibilità socio-economica proprio alle attività d’impresa o professionali: delle due l’una, o si tratta di un refuso del legislatore o quest’ultimo ha voluto comprendere anche il consumatore-imprenditore e il consumatore-professionista.

 

La Cassazione accoglie quest’ultima interpretazione , anche al fine di ricercare un significato concreto del testo normativo, concludendo per ritenere ammissibile il piano del consumatore anche se la persona fisica ha assunto debiti d’impresa o relativi allo svolgimento delle professioni, poiché ciò che rileva è che tali debiti non siano sopravvissuti al momento della prospettazione della predetta qualità personale di consumatore, ovvero al momento della presentazione del piano.

 

Sulla base di tale premessa, i giudici di legittimità hanno cosi potuto affermare che “la nozione di consumatore abilitato al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non abbia riguardo in sé per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d’impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche l’attività di professionista o imprenditore, invero solo esigendo l’art. 6, comma 2 , lettera b), una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impieghi derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui l’art. 7, comma 1, terzo periodo che sono da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui alla legge nr. 3/2012, art. 12-bis, comma 3”.

 

La soluzione operata dalla Suprema Corte, volta ad estendere la nozione di consumatore del sovraindebitamento, abbraccia quindi quel favor consumatoris tanto caro ai legiislatori europeo e italiano, non discostandosi poi di gran lunga dalla definizione di consumatore già presente nel Codice del consumo che, probabilmente, il legislatore avrebbe potuto limitarsi a richiamare al’interno della legge sul sovraindebitamento, evitando cosi dubbi interpretativi e discrasie inevitabili che richiedono oggi l’attenzione dell’interprete.

 

 

Diversa è l’ipotesi del consumatore-garante

Si osserva che sul punto le giurisprudenza tende ad escludere la qualità di consumatore alla persona fisica-socio che abbia rilasciato fideiussioni a favore dell’impresa, in quanto l’obbligazione fideiussoria contratta dal socio per assicurare finanziamenti alla società non può dirsi attinente alla sfera personale e familiare del soggetto.

 

 

Altri beneficiari

Nel novero dei soggetti beneficiari della procedura di sovraindebitamento, è incluso anche il professionista, ovvero colui il quel può esercitare la propria attività professionale solo dopo aver superato l’esame previsto nell’art. 33, comma 5. della Costituzione e dopo essersi iscritto in un albo tenuto da un ente pubblico e disciplinati da leggi speciali.

Il professionista potrà accedere al Piano del Consumatore solo nell’ipotesi on cui abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività professionale o a quella imprenditoriale eventualmente svolta.

 

Anche l’associazione professionale può accede alla procedura di sovraindebitamento, considerato che l’orientamento prevalente la riconosce una parziale soggettività giuridica,.

Per accedere è necessaria tuttavia la sottoscrizione congiunta di tutti gli associati professionisti.

 

Merita un approfondimento particolare la società tra avvocati: l’art. 5 della Legge nr. 247/2012 “Nuova disciplina dell’orientamento della professione forense” prevede infatti che la società tra avvocati non è soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione della crisi di sovraindebitamento, con ciò sancendo l’assoggettabilità delle stesse alla procedura di cui alla Legge nr. 3/2012.

 

Gli enti privati non commerciali, essendo per definizione esclusi dalla nozione di soggetti fallibili, sono da ritenersi inclusi nella categoria dei soggetti beneficiari della disciplina della crisi da sovraindebitamento.

Si tratta di quegli enti, forniti o meno di personalità giuridica, che esercitano attività senza scopo di lucro e che hanno una rilevanza sociale.

A titolo esemplificativo, sono ivi ricomprese le associazioni riconosciute, le fondazioni, le associazioni non riconosciute, i comitati, le onlus e le imprese sociali di cui il D. Lgs nr. 155/2006.

 

Anche gli enti pubblici sono esclusi dal fallimento

Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente devono ritenersi esclusi anche dalla procedure di sovraindebitamento, essendo questi enti eventualmente soggetti a procedure concorsuali alternative previste dalla legge in considerazione delle loro specificità.

 

Infine, il legislatore ha esteso l’applicabilità della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento anche alle startup innovative di cui l’art. 25 del D.L. nr. 179/2012.

 

Tale estensione è prevista dall’art. 31 del citato D.L., che la prevede laddove le dimensioni di dette imprese eccedano la soglia di cui all’art. 1, comma 2, della Legge fallimentare e limitatamente al periodo di quattro anni dalla loro costituzione.

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Dottore Commercialista e Revisore Legale Pianificazione e Controllo di Gestione Finanza Agevolata e Crisi d'Impresa Formazione