Equity crowdfunding: ruolo del commercialista

Nell’investimento Equity Crowdfunding il ruolo del commercialista (esperto) è indispensabile

 

L’equity crowdfunding è stato introdotto dal D.L. nr. 179/2012 (c.d. “Decreto Crescita 2.0”) convertito in Legge nr. 21/2012.

Il Decreto consentiva l’accesso a tale tipologia di raccolta di capitali, a determinate condizioni, solamente alle c.d. startup innovative che assumano la forma giuridica di società di capitali.

A completamento della normativa, la CONSOB, tramite Delibera nr. 18592 del 26 giungo 2013, ha emanato un Regolamento che disciplina il registro dei gestori dei portali e le caratteristiche delle offerte finanziabili per il tramite delle piattaforme on line.

 

Inoltre, la raccolta on line è consentita a condizione che ci sia un investitore professionale che sottoscriva almeno il 5% del capitale.

 

La legge di riferimento è stata poi integrata dal D.L. nr. 3/2015 (c.d. “Decreto Investment Compact”) che ha esteso l’opportunità dell’equity crowdfunding alla nuova categoria delle ‘PMI innovative’, agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e alle società di capitali che investono prevalentemente in startup innovative e in PMI innovative.

A fronte di tale novità, la Consob ha aggiornato il precedente Regolamento pubblicando la nuova versione del 2016.

 

La Legge di Bilancio 2017 (Legge nr. 232 dell’11 dicembre 2016) ha esteso l’operatività della disciplina del c.d. “equity crowdfunding” anche alla raccolta di capitale di rischio da parte delle Piccole e Medie Imprese (PMI) in generale (art. 1 comma 70).

 

Dal 2017, dunque, la possibilità di raccolta diffusa di capitale di rischio è estesa anche alle PMI che rispettano (tutti) i seguenti limiti dimensionali (raccomandazione nr. 2003/361/CE):

 

  • meno di 250 dipendenti
  • fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro, oppure
  • totale dell’attivo di bilancio inferiore a 43 milioni di euro

 

Stando alle statistiche del tessuto imprenditoriale italiano, è agevole osservare che ben il 95% delle imprese attive rientra nella definizione di PMI.

Di queste, inoltre, la maggioranza ricade persino nella definizione di Microimpresa (fatturato/totale bilancio sotto i 2 milioni di euro e con un numero di dipendenti non superiore a 10 unità).

 

Il “crowdfunding” può essere definito come

il processo con cui più persone (investitori non professionali) conferiscono somme di denaro per finanziare un progetto utilizzando siti web gestiti da soggetti controllati dalla Consob.

 

Nel caso di “equity crowdfunding”, tramite l’investimento on line, si acquista una partecipazione in una società con tutti i diritti e responsabilità tipici delle azioni.

 

L’opportunità dell’equity crowdfung si scontra con la realtà dell’imprenditoria italiana che si caratterizza per i seguenti aspetti:

  • ermeticità dell’assetto proprietario spesso caratterizzato da una conduzione parentale e perciò restio a forme esterne di partecipazione da cui possono derivare apprezzabili vantaggi competitivi e, di conseguenza, economici;

 

  • credit crunch del sistema bancario il quale, nella tradizionale politica di credito, segue la ciclicità dell’economia; analizza solo i dati a consuntivo; conosce poco la realtà imprenditoriale e snobba i business plan per poi ritrovarsi a condizionare le sorti dell’indebitamento divenuto eccessivo;

 

  • prevalenza degli obiettivi economici rispetto a quelli finanziari delle PMI: in azienda si presta molta attenzione ai margini di vendita e poca, invece, al cash-flow, dso, dpo, leverage, margini di struttura, Canvas model, SWOT Analysis, eccetera;

 

  • gli investitori “non convenzionali”, quali business angel e venture capital, sono pressoché sconosciuti ma che, invece, per il loro connubio manageriale e finanziario possono costituire un sorprendente vantaggio competitivo anche a livello internazionale;

 

  • la diffidenza ad aggregarsi: come detto, la stragrande maggioranza delle imprese italiane rientra nella dimensione di “microimpresa”. E’ da anni che ribadiamo che, per sopravvivere, è indispensabile aumentare il fattore dimensionale e la qualità manageriale.

 

In tutto questo, il ruolo del dottore commercialista può diventare (serve perciò la volontà del legislatore) un importante volano per superare i suddetti limiti senza dimenticare che tale figura professionale non è esclusivamente tributaria avendo competenze (specialistiche) di natura giuridica e manageriale.

In altre termini, la figura del commercialista-fiscalista è riduttiva e, pertanto, è destinata a passare il testimone al ruolo di  risolutore di problemi di natura strategica quali:

  •  ristrutturazioni societarie

  • aggregazioni di imprese

  • internazionlizzazione

  • advisor nelle operazioni d’investimento (es.: equity crowdfunding)

  • pianificazione e controllo di gestione

  • crisis management

 

In tutto questo, il ruolo del dottore commercialista è indispensabile poiché è la figura professionale più vicina alle dinamiche aziendali e personali dei soci. Pertanto, specializzazione, terzietà e co-responsabilità sono aspetti decisivi per l’importanza del suo ruolo nelle operazioni strategiche delle PMI.

 

E’ evidente, infine, che occorrono delle specializzazioni qualificate e, prima ancora, una nuova visione della figura del dottore commercialista da parte del legislatore con tutto l’impegno necessario da parte del CNDCEC.

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