Terzo Settore: riordino tra gli enti

Debuttano gli Enti del Terzo Settore tra novità e vecchia normativa

 

Sono considerati Enti del Terzo Settore (ETS):

  • le organizzazioni di natura privata
  • che perseguono senza scopo di lucro
  • finalità di utilità sociale, solidaristiche e civiche
  • e che realizzano attività di interesse generale attraverso forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi

 

Nel D. Lgs. 117/2017 di riforma del Terzo Settore (cosiddetto, Codice del Terzo Settore) sono elencate le tipologie di enti.

Da un lato sono citati gli enti del Libro I del Codice Civile oltre alle imprese sociali: queste ultime oggetto di diverso decreto e alle quali si applicano – dove compatibili – molte delle norme del Codice.

 

Vengono istituite due nuove tipologie di organizzazioni – già esistenti di fatto, ma mai regolate esplicitamente – che sono le reti associative e gli enti filantropici.

Inoltre, vengono ammessi tra gli Enti del Terzo Settore gli enti religiosi civilmente riconosciuti limitatamente alle attività di interesse generale che svolgono.

 

Tutti questi enti possano dirsi “del terzo settore” solo una volta iscritti al Registro unico nazionale (RUN).

 

Il campo d’azione del Terzo Settore

Non sono considerati Enti del Terzo Settore:

  • gli enti pubblici
  • le formazioni e le associazioni politiche
  • i sindacati
  • le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche
  • le associazioni di datori di lavoro
  • gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti.

 

In relazione alle finalità, si ravvisa la mancata definizione di utilità sociale, carattere solidaristico e civico citati tanto nel legge delega quanto nel codice, mancanza che si ritiene possa portare in futuro a problemi interpretativi.

 

Norma cardine del Codice è l’art. 5 che riporta una lunga elencazione di 26 tipologie di attività di interesse generale, elencazione disomogenea in termini tassonomici.

Infatti si passa da ambiti generali per arrivare a specifiche sotto-categorie di attività che si sarebbero potute includere in ambiti più generali.

Per metà delle attività vengono in soccorso uno o più riferimenti di legge, mentre per l’altra metà l’assenza di definizioni legislative puntuali potranno rendere difficoltoso circoscrivere il reale ambito di azione degli enti.

 

Il legislatore delegato, come previsto nella Legge nr. 106/16, ha stabilito che tale elenco di attività di interesse generale potrà essere aggiornato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM).

 

Se da un lato, con questa procedura si intende consentire agli Enti del Terzo Settore di intervenire legittimamente nei nuovi ambiti di bisogni sociali, dall’altro sorprende che una fonte primaria del diritto (legge) venga modificata da una fonte secondaria (decreto).

 

 

Le attività esercitabili

Oltre alle attività di interesse generale, il Codice consente agli Enti del Terzo Settore di esercitare attività diverse dalle prime, purché siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti (anche quantitativi) da definirsi con successivo decreto interministeriale.

 

Le attività diverse saranno considerate secondarie rispetto a quelle di interesse generale anche mettendo in rapporto l’utilizzo di risorse per l’una e l’altra parte, inclusi i volontari, le gratuità e le donazioni ricevute e impiegate.

 

È alta l’aspettativa tra gli enti rispetto alla definizione delle attività diverse, in quanto ad oggi, in ambito ONLUS, dopo ben 19 anni dal D. Lgs nr. 460, non si ha ancora contezza di quali attività connesse accessorie per natura a quelle istituzionali gli enti possono realizzare. Sarebbe forse stato più opportuno legare la strumentalità delle attività diverse alle finalità e non alle attività di interesse generale.

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