Terzo Settore: attività commerciali e attività istituzinali

Regime tributario unificato per tutto il mondo no profit

Il nuovo Codice del Terzo Settore (CTS) introduce per la prima volta un regime fiscale unitario per tutti gli Enti del Terzo Settore (ETS) uniformando il trattamento tributario del no profit, stratificatosi nel corso del tempo attraverso molteplici disposizioni settoriali che, spesso, hanno contribuito a creare confini piuttosto fumosi con il mondo profit.

All’interno del rinnovato quadro legislativo, il Codice del Terzo Settore introduce, all’art. 79, una serie di criteri per determinare la natura commerciale o meno delle attività che potranno essere svolte dagli enti del terzo settore.

Più in dettaglio, il comma 2 stabilisce un principio generale in base al quale

si considerano non commerciali le attività di interesse generale previste dall’art. 5 del Codice quando i corrispettivi non superano i costi effettivi , tenendo conto anche degli apporti economici delle pubbliche amministrazioni, in caso di attività convenzionata con queste ultime.

Non vengono considerati, invece, gli eventuali ticket sanitari versati dagli utenti.

In aggiunta a quanto sopra, il comma 3 prevede ulteriori ambiti di non commercialità riservati alle attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolte direttamente dagli Enti Terzo Settore e rese pubblicamente accessibili oppure affidate ad università ed enti di ricerca, mentre il comma 4 sancisce la non commercialità delle attività occasionali di raccolta fondi, nonché dei contributi ed apporti pubblici erogati dalle pubbliche amministrazioni per lo svolgimento delle attività non commerciali ai sensi dei suddetti commi 2 e 3.

Attività non commerciali

Tra le attività non commerciali sono comprese, per gli enti di carattere associativo, le attività istituzionali svolte nei confronti degli associati e dei loro familiari e conviventi, mentre si considerano commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a fronte di corrispettivi specifici, anche sotto forma di contributi e quote supplementari.

Ulteriori attività non commerciali sono poi previste per le organizzazioni volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) dagli art. 84 ed 85.

Il comma 5 stabilisce un parametro di tipo quantitativo per determinare l’inquadramento fiscale complessivo da assegnare all’ente in ogni periodo di imposta.

Sono, infatti, ritenuti non commerciali gli Enti Terzo Settore che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale, secondo i criteri descritti nei citati commi 2 e 3.

Gli enti vengono, invece, considerati commerciali – con conseguente attrazione di ogni entrata al regime ordinario del reddito d’impresa – qualora i proventi delle attività di interesse generale e di quelle secondarie di cui all’art. 6 del Codice, eseguite con modalità imprenditoriali, superino le entrate derivanti dalle attività non commerciali.

Rientrano in quest’ultima categoria:

  • i contributi, sia pubblici che privati
  • le liberalità
  • le quote associative
  • il valore normale delle cessioni o prestazioni svolte con modalità non commerciali.

 

Il calcolo della prevalenza

Ai fini del calcolo della prevalenza il legislatore, con l’obiettivo di favorire il reperimento di fondi da parte degli Ente Terzo Settore, ha escluso la rilevanza dei proventi derivanti da sponsorizzazioni nei limiti stabiliti dal decreto ministeriale attuativo di cui all’art. 6, che dovrà definire il perimetro delle attività “secondarie e strumentali”.

 

Queste ultime, in ogni caso, non potranno mai prevalere rispetto alle attività istituzionali di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice del Terzo Settore, pena la perdita dei requisiti ai fini dell’iscrizione nel Registro del terzo settore.

 

Nel calcolo di prevalenza si potrà tenere conto anche del valore normale delle attività non commerciali, in modo tale da evitare che eventuali ricavi di attività imprenditoriali non prevalenti possano attrarre alla categoria “profit” enti che svolgono attività a titolo prevalentemente gratuito o con corrispettivi di modico valore.

È il caso, ad esempio, di un Ente Terzo Settore sostenuto da donazioni che coprono i costi necessari per effettuare prestazioni di rilevante valore commerciale, rese principalmente a titolo gratuito e a favore di soggetti svantaggiati.

Il richiamo al valore normale, in questi casi, consente di evitare che l’ente sia riqualificato come commerciale solo per avere svolto una limitata attività a prezzi effettivi di mercato.

Quest’ultima nella maggior parte dei casi è destinata, peraltro, al finanziamento delle attività di interesse generale e solidaristiche svolte dall’ente.

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