E’ questa, in sintesi, la conclusione della recente ordinanza della Corte di Cassazione nr. 24535 del 18 ottobre 2017.
La decisione degli Ermellini trae origine da una verifica nei confronti di un commercialista depositario delle scritture contabili dell’impresa cliente attiva nel settore edile.
Nell’occasione, la Guardia di Finanza contestava all’impresa l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per i periodi d’imposta dal 1999 al 2003.
I rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione (PVC) venivano poi riprodotti dall’Agenzia delle Entrate negli avvisi di accertamento induttivi relativi agli anni in questione, con i quali veniva quantificato il reddito d’impresa in base alle operazioni risultanti dalle fatture emesse e ricevute e veniva irrogata la sanzione per l’omessa presentazione della dichiarazione.
Esperito inutilmente il tentativo di adesione, la parte presentava ricorso in commissione tributaria provinciale che però veniva rigettato.
Tuttavia, la commissione tributaria regionale accoglieva parzialmente le doglianze del contribuente pur confermando la legittimità delle sanzioni irrogate affermando la responsabilità del contribuente che, sebbene affidandosi al suo consulente di fiducia, “non controlla l’avvenuta presentazione della propria dichiarazione dei redditi, rendendosi così colposamente partecipe dell’omissione, che è innanzitutto omissione del proprio dovere di vigilanza, della quale deve rispondere”.
Inoltre, la commissione regionale ha ritenuto di non dover applicare l’esonero di responsabilità di cui all’art. 6 co. 3 del D. Lgs nr. 472/1997. in base al quale il contribuente non è punibile se dimostra che il mancato pagamento del tributo è imputabile esclusivamente al fatto del terzo denunciato all’autorità giudiziaria, poiché la norma “presuppone che il contribuente abbia fornito la provvista per il pagamento e che il terzo abbia ]…] simulato ma non effettuato il pagamento stesso…”.
La vicenda è, così, approdata alla Suprema Corte che ha ritenuto infondato l’unico motivo di ricorso proposto dall’impresa ricorrente.
In particolare, la Corte afferma che le due cause di non punibilità invocate dal contribuente per sostenere la non applicabilità delle sanzioni non possono, in concreto, operare, mancandone, in entrambi i casi, i presupposti.
Non si riscontra il presupposto per l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 1 co. 1 della Legge nr. 423/1995 secondo cui la sospensione delle sanzioni previste in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento nei confronti del contribuente, qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di commercialisti e altri professionisti, in dipendenza del loro mandato professionale.
Inoltre, il secondo comma precisa che la sospensione opera “ […] sempre che il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente”.
Inoltre, anche in fase di contenzioso si può invocare la causa di non punibilità, ma a tal fine occorre pur sempre che sussistano i presupposti dalla stessa richiesti, e, segnatamente, la prova che il contribuente abbia messo il professionista in condizione di provvedere all’adempimento, fornendogli la necessaria provvista.
Prova questa che la Commissione regionale, con valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto non raggiunta.
La Suprema Corte, poi, ha confermato l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 6, co. 3 del D. Lgs nr. 472/1997 che, come detto, esclude la punibilità del contribuente qualora questi dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito esclusivamente per fatto del terzo denunciato all’autorità giudiziaria.
Al riguardo, i giudici di legittimità richiamano il proprio costante orientamento secondo il quale “il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle entrate, essendo tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento” (Cass. ordinanza nr. 11832/2016).
Dunque, come puntualizzato dalla Cassazione con la sen. nr. 6930/2017, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde dell’omessa presentazione della dichiarazione da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica, ove non dimostri di aver puntualmente vigilato su quest’ultimo.
Alla luce di tali consolidate argomentazioni, la Corte rigetta il ricorso del contribuente. Spese compensate.
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