Le foto non evitano l’accertamento

Il contribuente deve fornire prove idonee a scalfire la pretesa tributaria basata sul “grave” scostamento fra il reddito dichiarato e quello basato sulle risultanze dagli studi di settore.

 

Con la Sentenza nr. 22746/2016, la Suprema Corte ha definito legittimo l’accertamento basato sugli studi di settore nella situazione in cui il commerciante dichiara un reddito irrisorio e si difende con delle fotografie eccependo che il punto vendita si trova in una zona periferica.

 

Per il caso aziendale in questione, in primo grado, con esito sfavorevole, il contribuente (esercente attività di commercio al dettaglio di capi di abbigliamento), in seguito a rideterminazione del reddito e del volume d’affari mediante l’applicazione degli studi di settore (art. 62-bis e seguenti del D. Lgs nr. 331/1993) riceveva l’avviso di accertamento per maggiori Irpef, Irap e Iva.

 

Stessa sorte in secondo grado, con la conferma da parte della Commissione regionale, la quale, mancando qualsivoglia documentazione contabile giustificativa, riteneva che il reddito dichiarato dal contribuente fosse del tutto irrisorio e che la mera esibizione di alcune foto riproducenti la strada periferica di ubicazione del punto vendita non poteva costituire giustificazione plausibile dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli accertati mediante applicazione degli studi di settore.

 

In ultimo grado di giudizio, il soccombente denunciava la violazione dell’art. 62-bis del D. Lgs nr. 331/1993, sostenendo che l’accertamento fondato sull’applicazione degli studi di settore non può basarsi sull’esclusivo scostamento tra il dichiarato e l’accertato, essendo in presenza di una contabilità regolare. Facendo seguito a tale tesi, l’Amministrazione finanziaria, avrebbe dovuto fornire ulteriori elementi di fatto o, quantomeno, indizi tali da dimostrare l’inesattezza dei dati forniti dal contribuente.

 

In definitiva, con la Sentenza nr. 22746/2016 gli Ermellini hanno confermato, anche in ultimo grado, la decisione. Il contribuente avrebbe dovuto fornire ben altre prove contabili e non le sole foto a testimonianza dell’ubicazione periferica dell’esercizio commerciale.

 

A tal fine, occorre considerare che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, nascendo invero solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento (Cass. sen. 26635/2009).

 

In tema di accertamento induttivo dei redditi, in una fattispecie relativa all’accertamento compiuto in base alle gravi incongruenze tra i costi, compensi e ricavi dichiarati e quelli ragionevolmente previsti sulla base delle caratteristiche dell’attività esercitata, si è quindi affermato che l’Amministrazione finanziaria può, ai sensi dell’art. 39 del DPR nr. 600/1973, fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cass. sen. 17038/2002).
In tale contesto, l’ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente (nonostante il rituale invito) e il giudice può perciò valutare la mancata risposta all’invito (Cass. sentt. 12558/2010, 12428/2012 e 23070/2012).

 

Senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, in sede di contraddittorio, il contribuente ha a sua volta l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati i parametri o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (Cass. sen. 14066/2014).
Tuttavia, ove quest’ultimo, pur essendo stato messo in condizione di dedurre, non dice nulla, legittimamente l’ente impositore, prima, e il giudice, poi, non avranno elementi per escludere che l’attività in questione sia un’attività normale e abbia, quindi, una normale redditività (Cass. sen. 3312/2011).

 

Nel caso di specie, anche il Collegio di Legittimità, rendendo definitiva la decisione della Commissione del Riesame, ha confermato che il contribuente non è stato in grado di provare il “grave” scostamento fra il reddito dichiarato e quello presunto dagli studi di settore.

Tuttavia, il giudicato non entra nella quantificazione del “grave” scostamento lasciando anche questo elemento alle valutazioni (soggettive) nel giudizio di merito.
La contestazione trova sostegno nella mancanza, sia nella fase amministrativa sia nel giudizio di merito, di un qualche elemento probatorio idoneo a scalfire la legittima pretesa tributaria.

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