Non sono bastate le bocciature della Banca d’Italia del 02 maggio 2005 (provvedimento nr. 55/05) e della Cassazione (ord. 29810 del 12/12/2017) a far desistere le banche dalla sottoscrizione di garanzie fideiussorie secondo il modello standard dettato dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI).
E visto che l’ammonimento della Banca d’Italia non conteneva alcuna sanzione o diffida, le banche hanno preferito rimanerne sorde!
Per capire meglio di cosa si tratta, l’istituto della fideiussione, spesso usato nei finanziamenti alle imprese, è disciplinato dal codice civile agli artt. 1936 e segg.. In particolare:
Una particolare forma di garanzia personale richiesta dalla banche è la fideiussione omnibus: in tal caso il fideiussore garantisce (seppur entro un certo limite convenuto) il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la garanzia fideiussoria viene prestata, ma anche di quelli che deriveranno in futuro da operazioni di qualunque natura intercorrenti tra la banca e il debitore principale. La fideiussione omnibus finisce quindi per garantire dei debiti futuri.
E proprio questa formula di garanzia è richiesta dalla banche sia ai privati sia alle imprese in operazioni di credito quali: aperture di credito, mutui e finanziamenti a medio/lungo termine, eccetera.
Il giudizio degli Ermellini fondava sull’evidente violazione della concorrenza così come affermato dall’art. 2 co. 2 lett. A della Legge nr. 287/1990 (c.d.Legge Antitrust) che così recita: “2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;”
Perciò, è evidente che la semplice applicazione di una formula standardizzata di garanzia “validata” dall’ABI non consente alcuna forma di concorrenza tra i vari istituti bancari in piena violazione del superiore principio di concorrenza posto anche a tutela del consumatore (o cliente).
Tutto chiaro e nulla di strano! Eppure, il ceto bancario ha fatto orecchie di mercante che sono state ben strapazzate dalla recente pronuncia della Cassazione sen. nr. 13846 del 22/05/2019. E c’è da dire che, nel frattempo, alcuni tribunali (es. Milano e Napoli) hanno invece seguito un orientamento di convalida di efficacia delle suddette fideiussioni.
Per la Suprema Corte, i giudici di merito, facendo memoria del provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia nr. 55/2005, dovranno limitarsi ad accertare la corrispondenza delle condizioni contrattuali applicate in concreto dalla banca con quelle previste dalla oramai vietata intesa restrittiva, traendone le relative conseguenze: dichiarare la nullità della fideiussione con la conseguente inefficacia di tutti gli atti cautelari ed esecutivi. Tant’è vero che, come anticipato, il giudizio di merito circa la liceità del modello di garanzia era già stato espresso (negativamente) dall’organo di vigilanza della Banca d’Italia nel lontano 2005.
A tal proposito, basterebbe focalizzare l’analisi sugli artt. 2, 6 e 8 del modello di fideiussione considerati maggiormente espressivi della condotta illecita.
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