Unioni civili e convivenze: prestazioni INPS

Le unioni civili sono equiparate alle relazioni tra coniugi anche dal punto di vista previdenziale. Non è la stessa cosa per le convivenze.

 

La disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso  e  delle convivenze di fatto è stata introdotta dalla Legge nr. 76/2016 (art. 1, commi 2-65).

 

Le unioni civili

Le unioni civili (art. 1, commi 2-35) sono definite “specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione” e sono costituite (in assenza di cause impeditive) da “due persone maggiorenni dello stesso sesso… (omissis) … mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni”.

In particolare, riguardo all’obbligo contributivo nelle gestioni autonome, è ora previsto che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti  nonché’ negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano a nche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché’ alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184”.

Logica conseguenza è che, qualsiasi disposizione normativa, regolamentare o amministrativa, nocché tutte le disposizioni del Codice Civile che contengano la parola “coniuge”, devono intendersi riferite anche ad ognuna delle parti dell’unione civile.

 

Lo status di coniuge rileva ai fini dell’individuazione dei soggetti che svolgono attività lavorativa in qualità di collaboratori del titolare d’impresa o, se l’impresa assume forma societaria, di uno dei titolari.
Infatti, nell’ambito delle gestioni previdenziali speciali INPS , l’art. 2, comma 2, n. 1) Legge nr. 463/1959 e s.m.i. per gli artigiani e l’art. 2 comma 1 Legge nr. 613/1966 e s.m.i. per i commercianti, estendono l’assicurazione previdenziale ai “familiari coadiuvanti ” tra cui “il coniuge”.

In tal caso, il carico previdenziale è equivalente a quello previsto per il titolare (circa 3.200 euro all’anno) e dovute con le stesse scadenze: quattro rate trimestrali di pari importo con scadenza 16/05/n – 22/08/n – 16/11/n – 16/02/n+1.

 

La suddetta equiparazione tra il coniuge ed ognuna delle parti dell’unione civile comporta la necessità di estendere le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile, registrato ai sensi di legge e comprovato da una dichiarazione sostitutiva della dichiarazione di cui all’art. 1, comma 9 della Legge nr. 76/2016 e all’art. 7 del DPCM nr. 144/2016.
Ne deriva che, in sede di comunicazioni di eventi all’INPS mediante il sistema ComUnica della CCIAA competente, l’impresa indicherà come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge.

 
Per quanto attiene al regime patrimoniale applicabile alle unioni civili, il comma 13 della legge in questione considera applicabili, tra le altre, anche le disposizioni di cui alla sezione VI, del capo VI, del titolo VI, del libro I del codice civile.
Pertanto, anche con riferimento al campo di applicazione dell’istituto dell’impresa familiare, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.

 

Le convivenze di fatto

Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

 

La nuova normativa estende al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari, ma non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore.

 

Pertanto, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare.

 

Tuttavia, il comma 46, che aggiunge l’art. 230 ter al codice civile, attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente“ il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato ”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.

 

Però, tale aggiunta non attribuisce ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari individuati dall’art. 230 bis, poiché a tal fine il legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formulazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del convivente che presti attività in un’impresa familiare.

 

In ogni caso, a parere dell’INPS, l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, ai sensi del nuovo art. 230 ter, non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.

(INPS, circ. nr. 66 del 31/03/2017)

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